Secondo quanto emerso da una ricerca di Kaspersky condotta a livello mondiale, il 26% dei gamer italiani si vergogna del tempo trascorso a giocare e si nasconde dai propri genitori.
L’indagine commissionata da Kaspersky e condotta lo scorso novembre da Savanta, un’agenzia indipendente di ricerche di mercato, ha coinvolto 5.031 persone in 17 Paesi e ha analizzato il fenomeno del gaming nel 2020.
Nello specifico è stato esaminato come siano cambiate le dinamiche nel rapporto tra gli appassionati di videogiochi e i loro genitori e in che modo sia possibile abbattere le barriere e i pregiudizi nei confronti di questo passatempo.
Secondo i gamer italiani intervistati, il senso di colpa associato al gaming è riconducibile a vecchi stereotipi, come quello che identifica i videogiochi come “un male per la salute” (45%) o “deleterio per il cervello” (41%).
Gli intervistati hanno dichiarato che i genitori apprezzano molti degli aspetti positivi del gaming come la creatività (42%), l’abilità a relazionarsi con gli altri (24%) e il problem solving (20%). Nonostante ciò i genitori non si dimostrano interessati a comprendere meglio le dinamiche del gaming e a creare con i propri figli un legame basato sulla condivisione di questa passione, soprattutto perché il gameplay e i suoi elementi di socializzazione sono estremamente diversi da quelli di film e musica. Infatti, circa la metà degli intervistati (49%) ritiene che se i loro genitori imparassero a giocare il loro rapporto sarebbe complessivamente migliore.
Andrew Winton, Vice President of Marketing at Kaspersky, ha dichiarato: “Quest’anno i videogiochi hanno rappresentato un grande sostegno per molti. Attraverso questa passione in molti hanno trovato conforto e nuovi amici in un periodo così difficile. Tuttavia, molte famiglie hanno un’opinione negativa nei confronti dei videogiochi poiché ritengono possano ostacolare il tentativo di avere un dialogo aperto e di solidificare le relazioni. Ci auguriamo che le testimonianze presentate durante il panel aiutino i genitori ad avere una conversazione più costruttiva e positiva con i loro figli”.
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